Luisa Guarro – la Donna Euridice, il Testo
di Silvio Talamo
Luisa Guarro con il suo lavoro teatrale Una storia per Euridice ha voluto proporre, sul piano del personaggio, la versione femminile del mito, l’altro lato di Orfeo. Da un colloquio fatto con l’autrice è chiaro che il lavoro, il personaggio Euridice, attraversi una serie di punti topici della donna: la libertà, l’emancipazione e non ultima quello che l’autrice ci ha indicato come invidia della bellezza, subita come arma d’attacco proprio nel momento di costruzione della sua emancipazione. In parole più semplici, per l’autrice, la donna Euridice in quanto portatrice di bellezza, nel momento del suo concretizzarsi sociale (diremmo noi) si vede attaccata proprio sul piano della forza che custodisce.
Così il prototipo del maschile si insuffla in secondo grado e cambia di segno, traducendola nell’abominio, nel maledetto, quell’istanza di cui potrebbe godere solo nel possesso: dalla bellezza alla prostituzione, dall’equilibrio alla maledizione, aggiungeremmo dall’amore all’odio. La storia, così come anche il semplice oscuro quotidiano, non sono avari di esempi: donne che si ribellano a quelle istanze che definiamo patriarcato, che oppure “fanno carriera”, e che al tempo stesso si espongono ad attacchi dove l’estetico, il formale, il bello, aggiungeremmo spesso artificiosamente imposto, si slabbra nel sessuale, individuato come lascivia. È quel bar dello sport sempre aperto nella provincia della nostra psicologia, dove la donna che sale si vende, con tutti i corollari del meretricio, e dove la minigonna è volontà di stupro. Sarebbe interessante riflettere sulla relazione tra volontà di potenza e volontà di stupro, uno squilibrio atavico, precedente, oggi inserito in un sistema che per paradosso vende e compra in una forma assoluta. L’argomento magari in un altro articolo …
Ciò che arriva a complicare le cose, ma non è un’area toccata dall’artista, è che il possesso rimane o può rimanere un processo interno alla relazione dell’amore, travagliata o meno. Eppure anche questo è un altro discorso.
Parliamo ora del primo pezzo che proponiamo, che forse è quello che preferiamo: Orfeo nel suo voltarsi, nel suo perdere per sempre Euridice. Il mito diventa una metafora da poter forzare e piegare ed allora per l’autrice la vera colpa emerge dal lutto, dal lavoro interno che Orfeo non è pronto a far maturare. Orfeo non si lascia attraversare dall’ombra di Euridice. La morte è elaborazione di una mancanza. Il morto torna nella sua luce, quando la mancanza elaborata ci da la possibilità, assunta l’irreversibilità del tempo, di far rivivere l’esperienza che in vita ci ha dato; un passaggio che dalla vita passa alla morte per poi ritornare alla vita e rimanerci, attivo e benefico. Non mi è difficile pensare che siano stati questi i caratteri del percorso che il neofita antico avrebbe dovuto attraversare per arrivare ad una rinascita spirituale, un percorso legato alla propria anima. Dell’orfismo però, a parte un certo immaginario sciamanico, non ci rimane alcuna sicurezza, benché l’antropologia, la filosofia e la storia delle religioni, in una sterminata bibliografia, non si siano sottratte al compito ma non è questo l’intento del pezzo teatrale.
Vi proponiamo di seguito due frammenti, il primo già citato ed il secondo dal finale, tratti dal testo in doppia lingua: italiano e napoletano. Anche il dialetto, tutto sommato, quello orale, parlato, continua ad avere una sua vitalità; probabilmente, come l’oralità, un suo rapporto con il mito.
I testi seguenti sono tratti da: UNA STORIA PER EURIDICE,
scritto e diretto da Luisa Guarro, in scena Chiara Orefice, disegno luci Paco Summonte, coreografie Chiara Orefice, scenografia e costumi Luisa Guarro.
Vincitore del Premio Regista con la A. indetto dal TRAM Teatro. Debutto 20 ottobre 2022 Teatro TRAM.
“E tu c’hai fatto?
Parla c’hai fatto?”
“Te si ggirato!?”
“E comm’ è succieso e comm’ è stato?”
“gué chillo si è ggirato!”
“ E pecché?”
“O’ fatto è cca pe’tramente saglievo e quei luoghi oscuri di morte attraversavo, a passo svelto e ce l’avevo quasi fatta, io sapevo ca essa mi seguiva, accussì m’era stato ditto
Eppure me sentevo accussì sulo
Camminavo e sentivo ca adreto a me nun ce steva proprio nisciuno non percepivo la sua presenza non il suo odore non il respiro, non il passo nessun rumore.
E accussì me so’ ggirato..
Essa era comm’a nu velo d’aria leggera
L’aggio chiammata
Euridiceee
E il buio l’ha risucchiata
“Gué io nunn’aggia capito niente!” “E mo’ t’o spiego io:
Si Orfeo avesse aspettato
e al momento giusto se fosse avutato,
Adreto a isso Euridice in carne ed ossa certamente nun l’avessa truvato. Ma chillu velo d’aria leggiera ca nun fa rummore l’avessa attraversato. E in lui l’amore per la vita sarebbe rinato.
E invece ‘o vi’ccanno (eccolo qua) avvelenato, ‘ntussecato (intossicato), ‘nquartato (storto), senza smania, invecchiato..
Eeeh ha sbagliato…
E nuje, ca simmo je’ deliranti ancelle del Dio della sfrenata ebrezza, del disordine da cui esplode e si origina la vita, esaltate, esaltanti, ‘o ssaje che facimme? ‘O mettimmo allerta ‘o facimmo lava’, ‘o facimmo magna’, po’ ‘o stunammo cu nu fiasco je vino e ce ‘o mettimmo ammiezo
E a isso, ca rifiuta ‘a vita, chella capa ce ‘a tagliammo!
Pecchè chistu rifiuto è ‘na jastemma!
E chella capa, nel fiume Ebro, menata
Continuerà a cantare il dolore e’ tutte e’ puverielli nnammurate!
(Applauso) Brava! Brava!!!
**** **** ****
È stato n’attimo e nunn aggia ‘ntiso cchiù niente.
M’aggia sentuta liberata da ogni ombra, ogni pensiero, ogni paura, gioia o dolore da ogni frenesia, ogni proponimento, ricordo, amore o rancore.
È chisto ‘nu modo je sentere?
Nun t’o’ saccio addicere
È pura libertà
Io
Euridice
sono uno spirito leggero ora
che ricorda nei tratti un corpo di donna giovane
in cui pulsava vivace il desiderio febbrile allegrezza
e salute e meraviglia e intensità e sfrontatezza ebbrezza onnipotenza sentita e agita salubre arroganza che sgorga copiosa da una fonte sacra la vita.
Io sono morta.
E, liberata dal peso delle passioni, nun canusciarraggio turmienti non il decadere del mio corpo l’affievolirsi dei miei appetiti l’ingrigire dei miei capelli l’appesantirsi delle mie membra, del mio passo danzante..
Nun canusciarraggio il dolore della perdita di quelli che avevano il diritto di precedermi nel trapasso.
Nun canusciarraggio il peso della responsabilità e della saggezza
Aggia canosciuto sulo ammore e chisto era o’ destino mio. Non si dica della mia vita: breve non si dica di me: Poverella. Non si dica di me: sfortunata.
A questi parametri obbedite nel vostro giudizio e soccombete alla pietà e al dolore ma nell’oltretomba ‘sto giudizio nun tene nisciuno valore. Me so’ sentuta e’chiammà “Euridiceee”
e a tantu tiempo nun o’ sentevo je pronuncia’ ‘stu nomme mio Ch’ aggio provato?
Niente!
Io sono puro spirito Identità piena.
E quando il Dio Messaggero, dai piedi alati,
O’ Ddio dei passaggi, chilli cruciali me ha purtata fino alla soglia dell’aldilà e po’ m’ha ditto rammaricato “S’è avutato!”
Io aggio risposto “ma je chi stai parlanno? E’chillu giovane là ncopp’ ca me guarda co’ tanto d’uocchie? So’ stata a nammurata soia, overo?
Ma il sentimento più non mi appartiene e del ricordo non mi curo.”
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Me so’ sentuta e’chiammà
“Euridiceee”
..Ch’ aggio provato?
Niente!
Io sono puro spirito
Identità piena.
E quando il Dio Messaggero dai piedi alati, o’ Ddio dei passaggi, chilli cruciali, me ha purtata fino alla soglia
dell’aldilà e po’ m’ha ditto rammaricato “S’è avutato!”
Io aggio risposto “ma je chi stai parlanno? E’chillu giovane là ncopp’ ca me guarda co’ tanto d’uocchie? So’
stata a nammurata soia, overo?
Ma il sentimento più non mi appartiene e del ricordo non mi curo.”