Mimi Ọnụọha at the Gropius Bau

Mimi Ọnụọha at the Gropius Bau

6 Novembre 2023 0 Di Kosmika

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The installation was like a totally unexpected blow for me, a soft one but a blow nonetheless. I was visiting the Gropius Bau for the first time, and I must say that I liked the building itself very much. I walk around the halls, consult the programs and arrive on the top floor, in the last room. The room, I realized later, was the one where Mimi Ọnụọha was presenting her works, “The Cloth In The Cable” (2022) to “These Networks In Our Skins” (2021), part of the Ether’s Bloom program, curated by Clara Meister’s team, with support from Eliane Eid’s side and contributions from Hn Lyonga. Such impressions are certainly entirely personal, I thought at the time and even now. As soon as I entered the hall I was immediately invaded by a strange sense of bewilderment as well as of peace. The air, in fact, was filled with a wonderful smell that was almost aphrodisiacal to me. I suppose it was the impact with a completely unexpected olfactory environment. I couldn’t figure out exactly what it was, I couldn’t even tell if it really existed or if it was my fantasy. Now, I think it was cinnamon, simple, sweet cinnamon. The room was in semi-darkness, the floor made of wood. The music, between organic and electronic was playing, a mixture of African percussions, which I have always loved, and synth and electronic sounds perfectly blended together. The music did not lose its reference to a root, to something that I interpret as more traditional, ancestral, but also to something technologically advanced, I would say the present if not the future. The atmosphere was almost meditative and in the middle of the space stood a large video, while the room was crossed by a bundle of cables, perhaps reader cables, colorfully snaking along the floor. In the video, a dark wooden table, warm colors, those of percussion wood, colors that you would have no trouble associating with the African world. Then, two hands take a scalpel, handle the cables, cut the casing uncovering the wires and insert some brown powder inside: spice (probably cinnamon) and then close it again. It looked like a repair, it looked like a surgery, it looked like veins and in the end it was. The veins of our media system, the veins of our hyper-communicative world, the electronic pathways that connect regions and spaces, allowing us to stay in touch. The digitization that can devour us. And then introducing that spice, that magic powder, organic, physical, sweet, natural, something that recalls nourishment and being human gives me the impression of wanting to naturalize, to bring the digital the technological closer to the body, to our being. To create an environment that does not forget what we are: body and forest, myth as well as reason, capable of producing science but also emotionality and impulses. We need to repair our environment, not forgetting the organic, not forgetting its root and not giving space to any technological obscurantism, criticizing, at the same time, the danger of a disappearance in the digital. In my nostrils that smell of spices, the colors of the earth, remains like a footprint.

Silvio Talamo

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L’istallazione è stata per me come un colpo del tutto inaspettato, un colpo morbido ma pur sempre un colpo. Ero in visita al Gropius Bau per la prima volta e devo dire che già di per se stesso l’edificio mi è piaciuto molto. Giro per le sale, consulto i programmi ed arrivo all’ultimo piano, l’ultima camera. La sala, ho capito dopo, dove Mimi Ọnụọha presentava i suoi lavori: The Cloth In The Cable (2022) e These Networks In Our Skins (2021), parte del programma Ether’s Bloom, curato dal team di Clara Meister, con il supporto di Eliane Eid e il contributo di Hn Lyonga. Le impressioni sono certamente del tutto personali, pensavo in quel momento ed anche ora. Appena entro nella sala sono subito invaso da uno strano senso di smarrimento nonché di pace. L’aria, infatti, era piena di un odore meraviglioso per me quasi afrodisiaco. Suppongo sia stato l’impatto con un ambiente olfattivo del tutto inaspettato. Non riuscivo a capire esattamente cosa fosse, non capivo neanche se esistesse davvero o fosse la mia fantasia. Ora credo sia stata cannella, semplice, dolce cannella. La camera era in penombra, il pavimento di legno. Si ascoltava una musica tra l’organico e l’elettronico, un misto di percussioni africane, che ho sempre adorato, e di suoni sinth ed elettronici tra di loro perfettamente amalgamati. La musica non perdeva il suo richiamo ad una radice, ad un qualcosa che io interpreto come più tradizionale, ancestrale ma anche a qualcosa di tecnologicamente avanzato, direi il presente se non il futuro. L’atmosfera era quasi meditativa ed in mezzo allo spazio sorgeva un grande video, mentre la camera era attraversata da un fascio di cavi che sembravano cavi elettrici e che serpeggiavano colorati lungo il pavimento. Nel video un tavolo di legno scuro, colori caldi, quelli del legno delle percussioni, colori che non fatichi ad associare al mondo africano. Poi, due mani prendono un bisturi, maneggiano i cavi, ne tagliano l’involucro scoprendone i fili ed inseriscono all’interno della polvere marrone: la spezia (probabilmente la cannella), per poi richiudere. Sembrava una riparazione, sembrava un’operazione, sembravano vene ed in fin dei conti lo erano. Le vene del nostro sistema mediatico, le vene del nostro mondo ipercomunicativo, le vie elettroniche che uniscono le regioni e gli spazi permettendoci di restare in contatto. La digitalizzazione che ci può divorare. E allora immettere quella spezia, quella polvere magica, organica, fisica, dolce, naturale, qualcosa che richiama al nutrimento e all’essere umano, mi da l’impressione di voler naturalizzare, riavvicinare il digitale, il tecnologico al corpo, al nostro essere. Creare un ambiente che non dimentichi cosa siamo: corpo e foresta, mito oltre che ragione, in grado di produrre scienza ma anche emotività.

Bisogna riparare il nostro ambiente, non dimenticare l’organico, non dimenticare la radice e non dare spazio ad alcun oscurantismo tecnologico, avanzando, al tempo stesso, una critica verso il pericolo di una sparizione nel digitale. Mi rimane come un’orma nelle radici quell’odore di spezie, i colori della terra.

Silvio Talamo